I racconti dei cacciatori di acquatici
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Prima di Natale di Luigi Fiorenzo
“Prima di Natale si spenna dopo Natale si pena”
Era in questo vecchio detto Veneto che riponevo le mie ultime speranze dopo un autunno, che quasi giunto alla fine, si era rivelato come uno dei più vuoti. Anche i primi di Dicembre, che di solito erano sempre i più proficui, quell’anno furono alquanto deludenti. Colpa forse, di un insolito vento di tramontana che allora imperversava da giorni.
Per Natale c’era ancora tempo,per gli uccelli non ne ero più tanto sicuro. Quel pomeriggio l’aroma del caffè bollente che in quel momento andava diffondendosi per tutte le stanze, mi sembrò l'unica cosa che veramente potesse tirarmi su, mentre appiccicato ai vetri della finestra osservavo il lungo viale di platani e le poche foglie ancora rimaste attaccate ad essi che a forza venivano strappate via dalla tramontana.

"Vento buono” - lo definiva il Niccolini- “ non certo dalle mie parti però ” - pensavo io, quando rannicchiato nell’appostamento in riva al mare, gli unici a volare con detto vento erano i gabbiani, che ad ali spiegate si lasciavano trascinane come aquiloni in balia del vento per l’azzurro cielo sgombro di nuvole.
Quando verso le due suonò la sveglia il vento doveva essere ancora forte, perché oltre ad avvertire il continuo cigolio di una vecchia anta anche il malfermo lampione,posto sul lato opposto della strada,dondolando faceva si che la sua luce entrasse a tratti dalla persiana socchiusa della camera da letto. Lasciai così, anche se a malincuore, il tepore delle coltri, che insieme alle profumate lenzuola avvolgevano in un tenero abbraccio ancor più profumate e vellutate carni. La sera prima alcuni amici incontrati nella solita armeria mi riferirono che a Sibari c’era un visibilio di uccelli, fui invitato ma rifiutai. Frequentavo solo saltuariamente la zona dove avevo realizzato anche discreti carnieri,ma tre ore di macchina nel cuore della notte e l’incertezza di potermi assicurare un buon ”posto” mi facevano decidere spesso per la mia cara Foce Sele.
Preferivo il più delle volte i “ pochi buoni e dannati” ai più vistosi carnieri del “ salice ” o delle ” mura alte ” nei pressi del porto di Sibari.

Dopo circa una quarantina di minuti, percorsi come sempre su una litoranea a quei tempi del tutto priva di illuminazione, giungemmo sul posto e qui imboccammo il solito sterrato, che appena visibile in quel labirinto di alti fusti di pino tutti uguali e ben allineati, ci portò in poco tempo alla vicina spiaggia, dove mi accorsi che il vento, spirante fino a poco prima da Nord, ora aveva cambiato direzione, provenendo ora dal mare stesso. La tramontana era calata di colpo lasciando il posto ad un indefinito venticello che sulle prime sembrava essere scirocco. Al chiaro di luna, già da lontano, era ben visibile il bianco incresparsi di piccole onde,ciò avrebbe impedito di calare le stampe a mare. Non sempre però questo era un segno negativo, tutt’altro. Il problema semmai era quello di poter occupare per primi la sola ansa esistente alla foce,unico posto insieme al piccolo pantano adiacente, dove poter collocare le stampe in caso di mare mosso. Parecchie volte quell'ansa e quel pantano erano stati miei, premio di tante corse vinte sul filo di lana contro “paparari agguerriti” come solo i " Pezzari" (al secolo fratelli Panìco), oppure i ”gragnanesi”, tanto per citarne qualcuno, sapevano essere.

A quell’ora però era poco probabile trovarla libera, ma ormai eravamo li e tentare non ci costava nulla. Il grosso pino mezzo marcio disteso li a terra da tempo,ci ricordò che lo sterrato finiva lì, tra l’ansa e il piccolo pantano. Superato a piedi il dedalo di canne palustri, la foce e con essa l’ansa, che per più giorni era stata occupata, proprio dai Gragnanesi, si offrirono a noi in tutta la loro bellezza e suggestiva solitudine riaccendendo nei nostri animi speranze ormai sopite. Diego non era il mio compagno abituale,anche perché nove volte su dieci andavo da solo a caccia,come da solo preparavo la buca, il gioco,le anatre,e tutto il resto,così quella volta tocco a lui fare da gregario,scavando la buca e mimetizzandola con quanto trovava nei dintorni lasciato li dalle frequenti mareggiate. Io distesi le stampe, poche, ben disposte,lasciando spazio davanti al cesto, dove al mattino avrei calato le anitre da richiamo e dove speravo si sarebbero posati gli uccelli.
Nel frattempo Il vento sembrò aumentare,ora piegava sempre di più le chiome del piccolo canneto ,così come aumentò l'alternarsi di grosse nuvole, nere e compatte,sicuro presagio di pioggia. Il tempo si preparava al peggio e già di tanto in tanto improvvisi bagliori illuminavano il cupo orizzonte. Guardai l’orologio,le quattro, ancora due ore o poco più e sarebbe giunta finalmente l’alba. Nell’attesa però fui preso dall'ansia, avevo il sentore che gli uccelli, per defilarsi alla perturbazione, già stessero risalendo il corso del fiume sfiorando l'oscura e fitta pineta.

Per fugare ogni dubbio dovevo calare i richiami, e così feci. Dopo che le tre “germanate” furono posate in acqua, stavo legando il maschio per porlo all’asciutto, allorché fu subito un continuo susseguirsi di "strette" sempre più insistenti e chiassose, tanto che infrangendosi sulla fitta pineta se ne risentiva l'eco. Mi precipitai nel cesto proprio mentre un branchetto di uccelli calò sulle stampe, all'insistente stretta delle anatre si diedero su, scomparendo in un baleno, li rivedemmo sbucare poco dopo alle nostre spalle, lenti ,e quasi indifferenti a una più serrata stretta dei richiami. Qualcuno si posò distante, nel punto più buio, altri vennero alle stampe. Restammo li ad osservarli trattenendo il respiro, altri ne giunsero. Poi, come inghiottiti dal nulla, in uno sciabordio d’ali scomparvero: “ Se tornano!!” pensai.

Due ore rubate alla notte dopo le tante che lei aveva rubato a noi, quella volta ci sembrarono ben poca cosa. Tornarono, non una, ma cento volte. Non bastò il thermos di caffè che il barista dell’Ufo Bar,sulla lungomare di Salerno,ci aveva quasi riempito la sera prima, così come non bastarono, in quelle due ore, le tante cartucce che avevamo anche in macchina.
Sul far dell'alba qualche isolato pescatore giunse alla foce col suo fardello di canne si accorse del gioco e per celarsi alla vista dei selvatici si spostò più a monte,ma fu cosa vana perché gli uccelli, che fino a poco prima s'erano presentati numerosi alla tesa,ora incuranti del gioco e dei richiami sorvolavano alti la foce,chissà per quali altri lidi. Altri invece guadagnarono il mare,e di tanto in tanto per il modo ondoso in cui questo versava compivano dei brevi tratti sfiorando le bianche creste delle onde, oramai rinvigorite da un incalzante scirocco,per poi rimettersi subito dopo. Quando verso mezzogiorno fu ora di andare afferrai uno dei due fasci d’anatre e lo portai alla spalla,non prima però di averlo suddiviso in due parti uguali, in modo da poterne distribuire bene il peso, una metà ricadde alle mie spalle, l’altra metà sul petto di quest'ultima, inebriandomi,ne sentivo l'acro odore. Ci incamminammo,sulla via del ritorno la pioggia, che per l'intera nottata e anche a giorno fatto sembrava li per li voler cadere, solo ora si avvertiva per il sonoro ticchettio dei suoi goccioloni che come tante piccole meteoriti sembrava volessero bucare il rassodato sentiero. Di li a poco giunse il Natale,la pioggia lasciò il posto a notti senza nuvole, ricche di stelle ma non di uccelli, ripensavo al famoso detto, e in modo particolare alla sua parte finale "...dopo Natale si pena." Mi sa che avesse proprio ragione!

Riposto il fucile, come allora facevo sempre nei primi giorni di Gennaio, la mia mente già volava alle cacciate della seconda metà di Febbraio e ai pochi giorni concessi di Marzo, quando organizzati di tutto punto, si passavano giornate intere sull'arenile salernitano aspettando i branchi di Marzaiole.
Ora però era tempo di pensare ai doni che la Befana avrebbe dovuto portare per le mie care,pregustando già le grida di gioia della mia piccina, quando di primissimo mattino, saltata nel "lettone" insieme alla mamma li avrebbe aperti.
In quanto al mio di regalo, quell'anno era arrivato in largo anticipo sulla Befana,era giunto una notte in cui la tramontana aveva lasciato di colpo il posto ad un tiepido scirocco.


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