I racconti dei cacciatori di acquatici
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Il Pescino di Stefano Landoni
Era il 1987, avevo 16 anni, era domenica e come succedeva spesso avevo raggiunto mio padre e i suoi soci alla "casetta", una palafitta sul Lago di Comabbio (VA), dotata di tutti i comfort: un divano, un tavolo, qualche sedia e una stufa a legna.

Si accedeva da un'asse di legno posato sulla riva e poi una scaletta, sul lato sinistro una porta di lamiera e di fronte un finestrone basculante di vetro: ci si stava in tre al finestrone, gomito a gomito, a sbinocolare in mezzo al lago.
Eh si, perché la "casetta" non era l'appostamento vero e proprio, ma il punto di osservazione per il "gioco in mezzo".

In quegli anni (nda: precedenti all’entrata in vigore della legge 157 del 1992) da noi le anatre le cacciavano così, dalla barca, seguendo le modalità inventate dai cacciatori di spingarda (già proibita da un bel po'). In quegli anni il gioco in mezzo, rispettando provvedimenti locali, non poteva superare i 30 pezzi tra stampi e vivi, quindi: 20/22 stampi e 8/10 vivi, più o meno così era per tutti.

Si passavano le mattine con i bulbi schiacciati nei binocoli a contare: 28, 29, 30, 31!
“Ghè dent' un quai còss si, un coròss, in mèzz ai stamp!”

Mio padre e il Guido si preparano per salire in barca: “Posso "palettare" io? Chiesi”.
Mio padre mi lascio il suo posto, non feci in tempo a salire dietro che il Guido mi disse: “e vabbè, allora stai davanti che spari!”

Credo che mi si fermò il respiro - e il cuore - per qualche secondo, ma non potevo mica far vedere che mi ero emozionato.
Dissi un SI deciso, da uomo, da cacciatore o almeno queste erano le mie intenzioni.

Ricordo ancora il Guido che caricò le tre magnum nel suo fucile, ricordo anche i bossoli: 2 grigi e uno blu. Erano cartucce caricate in casa con polveri che non si trovano più o quasi.
Glasgow, Dupont e altre che non ricordo.

Presi il fucile e mi sedetti davanti, con le gambe già sotto la prua della barca. Guido era in piedi a remare per un breve tratto avvicinandosi al "gioco". Poi si fermò: lui sapeva quando era ora di farlo.
Sfilò i remi, abbassò gli scalmi e appoggiò i remi paralleli alla barca, sganciò le palette e le immerse in acqua, prese i due poggia-testa, uno per me e uno per lui e li sistemò nella posizione più adatta: ci sdraiammo letteralmente sul fondo della barca, le teste leggermente sollevate dai poggiatesta, ora la barca (il "pescino" o "pesìn") era come un coccodrillo, dall'acqua del lago sbucano solo gli occhi.

Giudo afferrò le manovelle e iniziò a palettare, era la manovra di avvicinamento spinti dalle eliche.

I metri che mi separavano dalla mia prima probabile anatra si accorciavano velocemente e velocemente aumentava la mia emozione.

”La vedi?”
“Si”
”La vedi? Hai capito qual'è?”
”Si, si, a sinistra degli stampi”
”Quella davanti, non quella dietro, quello è un richiamo.”
”Stai tranquillo, l'ho vista”
”Ti dico io quando”
”Ok”
”Sei a posto? Sei Pronto?”
”Si”
”Dai!”
TAM!

Vidi solo uno spruzzo d'acqua e…cazzo!
Dallo spruzzo d'acqua esce un'anatra che vola: è il mio moriglione!
Mi alzo seduto e TAM un metro dietro.
E ancora TAM. Prima ancora di rendermi conto che era cascata sento "BRAVO!"
Diavolo l'ho presa, la mia prima anatra: l'ho presa!!!

Una femmina di moriglione, mi sembrava bellissima: era bellissima.

Oggi quella caccia che mi diede quella emozione, e che rinsaldò la passione che stava nascendo in me, non c’e’ più.


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