I racconti dei cacciatori di acquatici
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L'ultimo Germano di Salvatore Livani
Anche quella mattina il gelo si faceva sentire bene. Appena scesi dall'auto, parcheggiata a ridosso dell'argine, abbiamo subito percepito l'erba ghiacciata che sotto i nostri stivali crocchiava più del solito, segno tangibile che la temperatura era veramente bassa.

Nel massimo silenzio, e con la liturgia che da sempre ci accompagna in queste occasioni, Gianni ed io, ancora una volta abbiamo posizionato gli stampi sull'acqua, non senza difficoltà, dato che la fitta nebbia di fine Gennaio che nel buio stava calando, e che ci avrebbe accompagnato per tutta l'ultima giornata di caccia, inibiva al massimo la nostra visuale.

Eravamo bardati e coperti in maniera che il paesaggio intorno, più che il fiume Reno in prossimità di Marmorta, sembrava la tundra che lambisce il Danubio russo.
Ognuno, comunque, si posizionava nel proprio capannino, e con la circospezione di sempre caricava il proprio schioppo in silenzio.
Nell'alba che inesorabile avanzava, i soliti animali del fiume si risvegliavano, segnalando ognuno col proprio originale verso, il fare del nuovo giorno.
I chiari intorno, tutti ghiacciati, ci avevano regalato un ultimo fine settimana, di tutto rispetto, insolito ed emozionante, quasi incredibile.

Prima le ho sentite, veloci e basse senza poterle vedere, poi Gianni ha iniziato a chiamare, con quella benedetta trombetta canadese, prima forte, poi sempre più lento, e come d'incanto si sono materializzate dalla mia parte; ho imbracciato, con il cuore a mille, goffamente impacciato nei movimenti, ma rapido e deciso, scaricando il vecchio Breda, in direzione dell'ultima delle due grandi ombre, che ormai erano all'altezza dei radi pioppi che costeggiano il fiume in quel tratto.

Il tonfo, alla mia destra, netto e rumoroso nelle cannicciole, distendeva la tensione che avevo accumulato in quegli ultimi attimi, regalandomi quella solita ed inequivocabile scarica adrenalinica che motiva la mia grande passione.
L'aveva raccolta Gianni, che la accarezzava dolcemente come se fosse la prima che avesse mai visto, e la lisciava, soddisfatto e felice di avere tra le mani quello che in quel contesto desiderava.
Per me, era l'ultimo Germano della mia annata di caccia 2005/2006.
Ma ancor di più l'amarezza mi strinse il cuore pensando che, forse, sarebbe potuto anche essere l'ultimo per davvero.

Il timore che l'ambientalismo più incompetente, sull'onda emotiva di una paventata Pandemia Aviaria, la cui inesatta divulgazione mediatica stesse strumentalizzato l'inesistente morbo per poter chiudere una volta per tutte la caccia, prendeva in me sempre più corpo.
Si stava ingiustamente incutendo nella gente terrore e demonizzazione di tutto ciò che fosse "volatile", e che forse era meglio evitare di venire in contatto con "certi" migratori; probabilmente faranno di tutto, barando volgarmente e strumentalizzando l'ignoranza delle masse, magari anche solo mettendo una seria ipoteca, sul proseguio di particolari attività venatorie, come quella da me praticata.

Tale timore io ce l'ho ancora.


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