I racconti dei cacciatori di acquatici
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  Un'alba come quella non l'avevo mai vista.A soli 20 anni e con la licenza fresca di due, ero piombato in provincia di Caserta per sparare allodole, poi dirottato sul Volturno per il troppo vento, poco propizio per incarnierare quei gentili uccelletti.

Il papa' di Tonino ce lo aveva detto, nel suo dialetto stretto, quasi troppo per essere compreso anche da me, Crotonese doc, gia' allora studente in quella Bologna che sarebbe poi diventata la mia citta': "Nun pirditi tiempo, dumani ammatina abbinitivinni cu me' 'ncopp'ofiumme, ci tengo na vasca p'i mellarde".
Un po' deluso ed un pò incuriosito mi ero lasciato convincere.

La mattina alle cinque padre e figlio, mentre percorravamo in auto i 2 km di sterrato che dalla vicina Capua portavano alla vasca, si accordavano sulle postazioni.
Anzi il padre, Mimi', ordinava al figlio Tonino come posizionarsi e quando sparare: "M'arraccumannu, un sparati mai se e' ancora scuro!". Tonino aveva rassicurato il padre sul comportamento freddo e corretto che avremo tenuto. Appena arrivati capii quasi tutto. La "vasca", una pozza per attingere acqua di sorgente spontanea a circa 50 mt dalla sponda del Volturno, era circa mezzo ettaro in totale. Tutta circondata di canne alte e fitte, ad una delle estremità strette, aveva una specie di pagliara per riparare dal sole, meloni ed angurie raccolti nell'estate, quello sarebbe stato il capanno di Tonino e mio, mentre Mimì, si sarebbe sistemato dall'altro lato, in una costruzione di mattoni, 5 stampi dalle indefinite sembianze malamente posizionati in acqua completavano il quadro.

Il vento, fortissimo, tirava da tutte le parti ad una velocità pazzesca schiarendo da ogni velatura, il buio che diventava l'aurora di mille colori. E, dalle canne agitate, insieme al fruscio fastidioso che il vento provocava, provenivano canti di uccelli (anatre di tre o quattro tipi), che il mio orecchio da cacciatore pivello (e novello), non aveva mai sentito. Non mi ero ancora reso conto del resto, che tre uccelli sfiorarono il capanno così bassi da farci sussultare. Girarono e ci vennero contro a 10 mt sulla testa!

Tonino, l'amico che freddo doveva rimanere, imbraccio' e scarico' il fucile; ed io dietro di lui, staccando di terzo colpo un uccello che cadde dietro di noi. Nello stesso istante da tutte le canne intorno, gruppi di anatre partivano con un fragore che mai scorderò, con l'adrenalina che ci congelava il sangue, staccandosi ed allontanandosi da tutte le parti in gruppi da 10/12 in rapida sequenza, e noi inebetiti, a guardare quello che stavamo perdendo!

Dall'altra parte della vasca, dopo due fucilate, le bestemmie e le imprecazioni di Mimi', ovviamente rivolte al nostro indirizzo, non si contavano!
E credo che in quelle profferie fossero implicati parecchi santi protettori della zona! Non avevamo voglia di tornare alla macchina, ed affrontare Mimi'. Raccogliemmo l'uccello e cominciammo a vagare come zombie, ancora increduli, con il cuore in gola.

Dopo un'ora buona, tornammo all'auto che giorno era fatto. Mimi' non parlava. Parlavano i suoi occhi. Mi accomodai dietro e partimmo, lasciando quel posto al quale non avrei dato due lire, con una grande amarezza ed un irreversibile rammarico.

Quando riprendemmo la statale sfilai dalla ladra il Mestolone.
Era un maschio bellissimo. Non avevo mai visto in vita mia un uccello così bello.
Stavo piangendo.

Ancora oggi a 25 anni di distanza, quando a Novembre mi reco a Caserta per l'immancabile cacciatina alle allodole, per Mimi' sono e rimango "O' straqquapapere".


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