Oggi � il
11 Ottobre 2024
 
  I termini venatori
Caccia
Specie Cacciabili
Uccelli acquatici
Riconoscimento
Ambiente
Avvistamenti
Storia e Tradizioni
Nomi Dialettali
Studi&Ricerche
Angra Onlus
Home Anatidi.it
 



Scrivi alla Redazione


Elenco dei termini venatori
Il questa sezione della bacheca di Anatidi.it si riporteranno quei termini venatori che vengono usati nel linguaggio dialettale e spesso utilizzati comunemente tra i cacciatori di acquatici per identificare con precisione un particolare aspetto legato al mondo venatorio, una tecnica di caccia o per qualsiasi altra tradizionale attività che riguarda il mondo della caccia in palude.

Chiunque voglia aggiungere in questa lista altri termini caratteristici, ci invii pure una dettagliata spiegazione inserendo, possibilmente, anche qualche esempio storico o qualche ricordo personale che riguarda tale parola.

Anche, e soprattutto, questa e' cultura venatoria!!!
Inviaci i tuoi termini venatori



Il Mazzo

Spesso in alcune aree del nord Italia, i cacciatori di acquatici usano spesso questo termine in frasi del tipo: "ho visto un mazzetto di uccelli", oppure "ha preso un bel mazzo di anatre".
Con l'aiuto dei tanti amici della mailing-list di Anatidi.it abbiamo fatto questa piccola e interessante ricerca che di seguito riportiamo.

Finalmente ho avuto modo di spulciare tra i libri e ho trovato la tabella sui mazzi: l'unità di misura utilizzata nel commercio degli uccelli.
E' su "Atlante Ornitologico" di Ettore Arrigoni degli Oddi, in seguito ripreso dall'Avv. Mazzotti in "Cacce di Palude e di Valle" che vi cito:
[] Altra tradizione, che risponde però ad esigenze economiche dato il notevole commercio, in passato e ancor oggi, della selvaggina che nei giorni di "trata" veniva e viene uccisa nelle Valli, è quella dei "mazzi" veneti.
Ogni mazzo ha pressoché eguale valore commerciale e perciò si è ritenuto di comporli in maniera diversa, a seconda delle varie specie più o meno voluminose o di maggiore o minore pregio alimentare.
Un "mazzo" perciò è composto da: due germani reali (maschio e femmina), oppure da tre fischioni, o tre codoni, o tre canapiglie, o tre moriglioni, o tre morette, o tre chiurli maggiori; oppure da quattro mestoloni, oppure da sei folaghe, o da sei marzaiole, o da sei alzavole, oppure da dodici pettegole, da ventiquattro piovanelli pancialera, etc.
Nella composizione del "mazzo" veneto, come si vede, si tiene conto più del volume che del valore alimentare (tre canapiglie sono assai più apprezzate di tre chiurli maggiori, sei alzavole assai più di sei folaghe..) []

Per completezza riprendo l'Arrigoni per le specie non citate dal Mazzotti:

[] Una oca selvatica, una granaiola (+ un'alzavola), due strolaghe, due volpoche, due smerghi maggiori, tre svassi maggiori, tre smerghi minori, tre quattrocchi maschi, tre aironi cenerini, o aironi bianchi maggiori, o morette grige, o tarabusi, quattro quattrocchi femmine o giovani, quattro folaghe (qui non vanno d'accordo), quattro pesciaiole maschi, sei se femmine o giovani, sei pivieresse, sei pavoncelle, otto cavalieri d'Italia, []

Testo di Stefano Landoni

Per quello che mi consta la parola mazzo in Emilia Romagna (ma penso anche nel vicino Veneto) trae origine dalla composizione che veniva fatta per tradizione dai cacciatori di valle mestieranti che mettevano in vendita tramite i pollaroli dei mercati o le macellerie quando ancora era permessa la libera commercializzazione della selvaggina acquatica sia anitre che trampolieri.
Posso testimoniare per esperienza diretta che tale consuetudine è stata mantenuta in vigore fino alla fine degli anni '50, e successivamente per ragioni legislative, venne limitata alla sola vendita del germano reale.
Ricordo benissimo quando con alcuni compagni tornavamo a casa dalla Scuola Elementare una delle nostre tappe preferite oltre alle due vetrine delle armerie era la macelleria di "Dante ad Ciro" al quale dovevamo riferire il nome delle anatre che in quel determinato giorno componevano i mazzi che lui teneva esposti per la vendita.

I pezzi che componevano un mazzo erano legati nelle anatre tramite un filo di ferro che passava attraverso le narici e per i trampolieri attraverso la parte inferiore del becco che è molle. (Altri tempi!!!!!)
Preciso che per le altre specie di uccelli (tordi, cesene, merli, storni, allodole e passeri e altri) non si parlava mai di mazzi, ma più genericamente di "rozzi".
I mazzi erano composti dalla stessa specie di anatra e/o di trampolieri e avevano dei prezzi differenziati dovuti sia alla qualità delle carni sia alla dimensione della pezzatura che li componevano.

Il mazzo di germani era composto di 2 pezzi; il mazzo di canapiglie, di codoni, di fischioni e di moriglioni era composto di 3 pezzi; il mazzo di morette e di mestoloni era composto di 4 pezzi; il mazzo di alzavole e di marzaiole era composto da 6 pezzi.
Poi un mazzo di beccaccini (era il più prelibato) era composto di 6 pezzi; quello di pivieri e di pittime era composto di 8 pezzi, non ricordo le pavoncelle ma per la loro pezzattura può darsi che che fosse formato da 8 pezzi ed infine per i combattenti, totani, pantane e le pettegole era composto da 10 pezzi.
I mazzi che alla fine della giornata rimanevano invenduti venivano restituiti ai propri cacciatori e forse una delle ragioni di esercitare la caccia di notte era anche quella di poter esporre per vendita i propri mazzi per una intera giornata e di conseguenza avere maggiore probabilità di vendere.

Ricordo che a Natale e per Pasqua quando con i miei genitori andavamo a Bologna dagli zii nelle passeggiate in centro si passava da una via stretta che dalle Due Torri porta a Piazza Maggiore ed era una meraviglia vedere esposti in appositi sostegni di ferro tutti i mazzi delle anatre.
Tra i vecchi cacciatori dell'epoca esisteva nel linguaggio comune l'abitudine di quantificare le catture specificandole per mazzi.
Il mio bisnonno paterno che non ho conosciuto era un cacciatore e tartufaio di professione e riuscì a sfamare sette figli con i proventi della caccia di valle e della raccolta dei tartufi, ed inoltre faceva il barcaiolo per i Conti Ricci Bartoloni quando questi volevano frequentare la Valle.

Testo di Aldo Berardi


La Spera

Questo termine è comunemente nella provincia di Siena per definire l'aspetto serale alle anatre. Per dirla alla Dante "...ne l'ora che la mosca cede il posto alla zanzara".

Testo di Juri Bettollini


Il Pescino, la Paletta, Sciupetun e lo Stelun

Il Pescino era il tradizionale barchino per la caccia alle anatre nei grandi laghi del Nord Italia.
La paleta', invece, e' l'atto di palettare, molti anni fa' (inizio 900) si usavano dei piccolissimi remi (palette) medianti i quali ,da sdraiati, si avvicinavano gli uccelli.
In seguito si e' passati a dei movimenti meccanici (coppie coniche) ma il termine palettare e' rimasto inalterato.
Io ho avuto la fortuna di cacciare con Angelo Carbonati che ancora alla fine degli anni 80 usava le palette.

Sciupetun invece e' un sovrapposto saldamente (ma non sempre) ancorato al pescino di fatto e' stato usato per sopperire al divieto della spingarda ci sono state (purtroppo alla fine) delle evoluzioni come il timone a pedale che di fatto permetteva, quando si era quasi a tiro, di lasciare una manetta e prendere con una mano il fucile (quando si palettava da soli) in due il problema non esisteva.

Lo sprarae sia davanti che dietro e' sempre stata una questione di "scuola". Sul Lago Maggiore la maggior parte tirava con l'automatico alzandosi, sia stando avanti che dietro. Ovviamente chi stava dietro tirava solo ai traversoni.
Sul Lago di Varese alcuni, stando davanti, sparavano solo da sdraiati (rimanando dopo lo sparo in acqua in quella posizione) e chi stava dietro all'involo aveva tutto il "campo" disponibile.
E'palese che queste tecniche implicano una grande esperienza e affiatamento tra i cacciatori che, purtroppo, hanno causato incedenti mortali.

Invece il termine Stelun, sempre di uso comune nel nord Italia, si riferisce ad un'anatra germanata attaccata ad una fila di stampi.

Testo di Walter Colombo


Il Ducato e la Taca

Questi due termini diffusi nella regione Veneta ed in particolare si riferiscono alla caccia esercitata nelle famose valli Venete.

Per il Ducato si trattava di una mancia data al capovalle per aver saputo capire ove e come prendere gli uccelli.
Generalmente era piu' comune il "mezzo ducato" ovvero 50 capi e + raramente il ducato, vero record, i 100.
C'erano valli (p.e. la Zignago a Caorle), negli anni trenta/quaranta, in cui il primo posto lo faceva quasi sistematicamente.

Per quanto riguarda la Taca, vi riporto su questa "consuetudine" sostanzialmente quanto ha scritto da un grande cacciatore di valle, Giancarlo Labia in un suo libro scritto agli inizi del novecento.

"Oltre la consuetudine del capovalle a fare i posti e del cacciatore del primo posto a dare il segno d'inizio caccia, una delle consuetudini piu' caratteristiche e antiche è quella della "taca" ad ogni infrazione delle regole della valle.
La taca in origine consisteva nel prendere il condannato e metterlo con le parti "che non vedono il sole" denudate su una spugna imbevuta di acqua gelata con successiva offerta di vino, ora la taca si risolve, quasi sempre, in una solenne bevuta alle spalle del condannato.
Paga taca il cacciatore che spara una o piu' fucilate e ritorna a cason senza un uccello bianco (anatra, beccaccino); la folaga, il chiurlo, i totani, le pettegole ecc. non prosciolgono dalla taca, mentre il falco di palude (!!!! siamo agli inizi del novecento!!!) può esimere dalla pena il cacciatore."

Inoltre si paga Taca quando il cacciatore "spara prima del primo posto, quando dopo il primo marzo ammazza un germano, quando non scarica il fucile in barca o peggio in cason, quando colpisce un richiamo vivo o scambia uno stampo x anatra, quando cade in acqua o, peggio, ci fa cadere qualcuno ecc. ecc.
Il barcaiolo paga taca oltre che per i precedenti motivi, quando fa scappare qualche richiamo, quando perde molti selvatici morti, quando dimentica in botte o al cason l'attrezzatura o arnesi di caccia e del cacciatore, ecc. ecc."
Naturalmente queste tacche sono oggetto e spunto di divertenti quanto accese discussioni e piacevolissime scenette e non mancano strenue difese e le scuse piu' sottili e studiate quanto assurde ma il capovalle è irremovibile quanto inesorabile e quasi sempre il "bagnetto" e il buon vino viene ad allietare la fine della vertenza lavandone l'onte".

Testo di Gabriele Fasoli


Termini dialettali marchigiani

Riportiamo un elenco di termini dialettali che vengono usati nella zona di Portorecanati (marche) che ci ha segnalato Antonello Barbaccia appassionato cacciatore di anatre e "trampolieri".

Cerignolo: cesto per trasportare la pavoncella o il piccione alla tesa (gioco commposto da stampi e richiami vivi)
Battecco' o Palpa: leva per lo zimbello, in canna di bambù stagionata almeno un anno
Filagna: e' il cordino che collega la leva, pavoncella viva imbracata, al cacciatore
Castagnole: i picchetti di legno della leva
Sodo: terreno coltivato, e non, ad erba medica o altro, alta pochi centimetri
Maesa: terreno arato
Bocchette: sono le finestrelle di tiro ed osservazione dell'appostamento
Pradella: lingua di terra che parte dal capanno fino al centro del chiaro
Frullato (uccello): uccello caduto o recuperato ferito
Azziga: richiamo vivo ingabbiato o legato a terra
Ventarola: stampo piatto di pavoncella o altro, in legno o lamiera
Guazzo: chiaro, laghetto da caccia
Piantata: tesa, in foce alle anatre od al prato ai trampolieri e/o storni
Miarine: pallini della cartuccia
Osso: fischio in osso di prosciutto, principalmente per i pivieri
Mezzaluna: fischio tipo "palermitano" aperto o saldato a stagno in lamiera zincata od ottone, principalmente per le pavoncelle
Sbocca: foce del fiume o canale
Guazza: rugiada
Canna d'India: canna di bambù
Telo: si riferisce generalmente ad un bracno di uccelli, in particolarmente alle pavoncelle e/o altri trampolieri



  Visite alla pagina: 16709