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La tutela del territoro attraverso la caccia di Federica Ricci
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La cultura ambientalista anticaccia è talmente radicalizzata nel nostro Paese che è divenuto quasi impossibile
parlare di conservazione della natura senza che non ci si debba scontrare in polemiche sul problema della
caccia.
Ormai si è giunti al momento di superare anche in Italia, come nel resto d’Europa, il negazionismo che ha tanto
nuociuto alla causa. A furia di proteggere, tutelare e difendere le specie selvatiche le stiamo antropomorfizzando,
oltre che facendo perdere quella connotazione selvatica strettamente legata alla loro sopravvivenza in natura.
La caccia è un’attività che prevede uno strettissimo contatto con la natura, o meglio, richiede una simbiosi
viscerale con i ritmi e i fenomeni naturali. La caccia non può infatti prescindere dall’ambiente naturale e
dalle risorse di un patrimonio faunistico che tutti quanti dobbiamo impegnarci a rispettare e che la caccia,
vivendola attivamente, ci insegna a tutelare e difendere.
Essere cacciatori oggi significa essere coscienti del proprio territorio. Ciò che ha cambiato il mondo venatorio
durante il ‘900 lo si può ricondurre a tre fenomeni: l’esodo rurale, l’industrializzazione e l’urbanizzazione. Caccia
e territorio non hanno potuto far altro che segnare il passo di fronte a questa tendenza finché, un secolo dopo,
grazie all’approvazione della legge quadro che regola l’attività venatoria (la 157/92) il cacciatore grazie agli Atc
(Ambiti Territoriali di Caccia) e CA (Comprensori Alpini) é legato al suo territorio e dunque invitato a proteggerlo
e a migliorarlo.
La natura ha bisogno della caccia e non può sussistere l’arte venatoria senza una gestione concordata con il mondo
agricolo e responsabile nei confronti dell’ambiente da rispettare. Ma prima di arrivare a questo traguardo è
importante condividere il fatto che l’Italia non sia un territorio mummificato ma una territorio animato e che
il cacciatore non debba limitarsi ad osservare il territorio come potrebbe farlo un escursionista, ma deve poter
avere la libertà di agire nel rispetto e nell’ottica della tutela. Il cacciatore diviene il primo vero ambientalista
nella società odierna.
Pensiamo ai danni provocati dall’eccesso di specie proliferate nelle aree protette, che hanno causato, secondo le
ultime stime riferite da Sergio Marini, rappresentante delle istanze di allevatori e agricoltori, circa 70 milioni
di euro di danni ogni anno, sottolineando che ad oggi il rimborso arriva mediamente a coprire il 30/40 per cento del
totale denunciato.
Il Presidente di Fare Ambiente -Movimento Ecologista Europeo- Prof. Vincenzo Pepe, invitato a discutere sul tema della
caccia in Italia alla trasmissione “Uno Mattina” ha ribadito l’importanza della selezione all’interno delle aree
protette per le specie problematiche come i cinghiali che minacciano altre specie e deturpano il patrimonio ambientale.
“Se non si agisce si va contro i principi di conservazione propri di un Parco naturale”. “Il problema, afferma il Prof.
Pepe, è che i censimenti in molte aree protette non vengono nemmeno fatti perchè nell’immaginario comune resiste
l’ambientalismo di vincoli e il no a priori alla caccia. Quando gli animali in eccesso alterano l’ecosistema bisogna
intervenire. Il no alla caccia produce un ulteriore danno all’ecosistema”.
L’attività venatoria rappresenta un importante strumento di monitoraggio e mantenimento di equilibrio tra le specie,
non solo, all’estero la caccia è anche un’alternativa all’agricoltura per attribuire un valore economico al territorio.
In Scozia, ad esempio, la voce “caccia” è inserita nel bilancio nazionale.
Un altro esempio di aiuto allo sviluppo rappresentato dalla caccia sono i Paesi dell’Est dove, a fronte di un cospicuo
investimento di denaro destinato alla sistemazione delle stazioni della forestale ridotte a ruderi e alla garanzia
di posti di lavoro, nonché alla creazione di un indotto derivato dalla caccia, i Governi locali hanno dato in gestione
per un numero limitato di anni l’attività venatoria con l’imperativo di osservare i calendari, per tempi e specie
locali.
Diventa necessario iniziare a guardare all’attività venatoria secondo una prospettiva di tipo europea in cui le venga
riattribuito il giusto valore secondo le leggi emanate dalla Commissione Europea.
Nel quadro complessivo tracciato non si può far altro che prendere atto della necessità di costruire un nuovo
modello economico–sociale sempre più e sempre meglio legato alle tradizioni e alla vita di campagna, attraverso
il bagaglio di esperienze e alla promozione di un'educazione ambientale che punti a far conoscere il mondo
dell'arte venatoria e soprattutto che miri alla conservazione e gestione del territorio e della fauna
selvatica.
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Federica Ricci, laureata in Psicologia presso La Sapienza di Roma, è entrata nel movimento ecologista europeo
Fare Ambiente nel 2008 e dall’anno successivo è Responsabile Nazionale Movimento Giovanile.
Attualmente, presso l’Università di Tor Vergata di Roma, si sta occupando in collaborazione con l’Associazione
Fare Ambiente dei crimini ai danni dell’ambiente e dei relativi risvolti psicosociali.
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