I diari dei cacciatori di Anatidi.it
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La realizzazione di un sogno di Lorenzo Borri
Ero un bambino di 6 anni quando finalmente mio padre si decise a portarmi con sé nel capannino a caccia di allodole. E quel giorno rappresentò per me una svolta fondamentale della mia vita. Da allora infatti il mio esistere si divise in due: la parte della vita in società, con le sue regole e i suoi costumi e la parte della vita passata in mezzo alla natura ad inseguire un qualcosa di indefinibile e a dar sfogo ad un istinto primordiale.

Dall’età di circa 14 anni il mio sogno più ricorrente, e con il quale amavo addormentarmi la sera, riguardava una cacciata meravigliosa in botte alle anatre. Il mio sogno era ambientato in una selvaggia palude di Cuba, probabilmente a causa di qualche pubblicità letta chissà dove. In questo sogno, dopo il raggiungimento della botte su di un barchino a notte fonda, cominciavano ad arrivare anatre di tutte le specie in grande quantità ed io, con la mia doppietta, davo prova di grande tiratore. Non saprei spiegare esattamente perché le anatre siano sempre state al centro dei miei desideri. Probabilmente perché si cacciano da appostamento, ed io in un capanno ci sono nato, o forse perché ho sempre considerato le anatre come il più selvatico degli animali “nobili” cacciabili dalle nostri parti. Infine perché, pur avendolo sempre desiderato con grande forza, mia madre ha sempre giustamente rifiutato di avere in casa (un appartamento in condominio) un cane, fatto questo che mi ha impedito sino all’età di 26 anni di conoscere fino in fondo le gioie della caccia con il migliore amico dell’uomo.

Ebbene, questo sogno ho avuto la fortuna di realizzarlo anche se a Cuba, per il momento, non ci sono mai stato. Era l’autunno del 1999 quando Fabrizio, mio amico e compagno di molte avventure venatorie, mi chiamò dicendomi: “Lorenzo, ho trovato in Internet il posto che fa per noi. E’ in Spagna, al centro di un parco naturale in cui è vietata la caccia, dove permettono in una sola “valle” la caccia alle anatre dalle botti al fine di tenere il numero degli anatidi sotto controllo. Addirittura programmano delle tirate eccezionali fuori stagione per abbattere un po’ di germani che altrimenti farebbero troppi danni alle culture. Inoltre il prezzo sembra alla nostra portata.” Al sentire queste parole la mia eccitazione salì a livelli da infarto. Avviso subito il mio titolare, nonché amico, Marco che negli ultimi anni avevo cominciato a portare con me a caccia. Premetto che Marco, figlio d’arte dal punto di vista venatorio, non aveva mai cacciato seriamente in quanto il padre, medaglia di bronzo alle Olimpiadi specialità “Fossa Olimpica” e grandissimo cacciatore, morì prematuramente di un brutto male quando Marco era ancora ragazzino. Anche lui impazzisce all’idea e a sua volta coinvolge il fratello maggiore, Roberto, anch’egli con la passione della caccia che covava sotto le ceneri di numerosi anni di inattività. Alla fine siamo un gruppo di 4 giovani assatanati ma del tutto inesperti della caccia in valle. I preparativi sono accuratissimi: centinaia di cartucce supercorazzate del 4 e del 5, indumenti da polo nord, richiami che neanche sapevamo usare, stampi acquistati per l’occasione etc etc. Per fare le cose fatte bene decidiamo di aggiungere ai due giorni di caccia in valle un terzo giorno (il primo) di caccia alle pernici rosse in montagna. Si rivelerà una giornata molto piacevole passata arrampicandoci su queste brulle montagne ricoperte di rosmarino selvatico sparando a belle pernici anche se sicuramente lanciate nei giorni precedenti. Siamo accompagnati da due spagnoli che dopo quattro ore ci dicono di non aver mai visto della gente che cammina come noi e che non riuscendo più a starci dietro ci lasciano in compagnia di un paio di bracchi tedeschi tutt’altro che eccezionali. Alla fine avremo raccolto una ventina di pernici più un fagiano che, a detta loro, costituiva una rarità avendone lanciati soltanto una decina molti mesi prima.

In quel giorno non mi distinsi certo per precisione di tiro, facendo diverse padelle e ammazzando il povero fagiano dopo averlo ribattuto per ben 3 volte. Roberto, che sparò insieme a me l’ultima fucilata al mal capitato pennuto si è sempre vantato della paternità della cattura anche se in cuor mio sono certo che lui abbia sparato ad un cadavere anche se solo per una frazione di secondo. Ma come potevo asserire questo dopo che avevo sparato ben 6 fucilate allo stesso animale? Sta di fatto che quando qualcuno mi vuole prendere in giro mi ricorda “di quel povero fagiano che cascò infartuato dopo ben 6 mie fucilate a cui dovette essere aggiunto un settimo colpo di sicurezza”.

Arriviamo dunque alle foci di questo splendido fiume nel tardo pomeriggio di un giovedì di febbraio dove veniamo accolti nella casa di caccia (lontana diversi chilometri dall’abitazione più vicina) da Adolfo, uno spagnolo molto cortese che sprizza energia e forza da ogni poro. La sua simpatica moglie Rosario si sta già adoprando per preparare la cena che verrà cucinata sulle braci del camino sotto il portico. La casa di caccia è una tipica costruzione bianca ad un solo piano, composta da un soggiorno con camino, una sala da pranzo, 3 camerate da 4 o 6 posti ed un solo bagno con 2 lavandini, 2 bagni e 1 doccia. Tutto è vecchio e tipico di una casa di campagna dal proprietario non troppo benestante. Il fascino che però emana è indescrivibile. Una grande vetrina all’entrata mostra un esemplare per specie di molti degli abitanti del luogo: tutte le anatre che conoscevo più qualcuna che non avevo mai visto come il Fistione Turco e la Volpoca, varie Oche, il Pollo Sultano (molto comune in quella regione), tantissimi scolopacidi etc. Tutti i quadri rappresentano scene di caccia o animali meravigliosi. Ma sicuramente la cosa che ci attrae di più è il disegno della valle con tanto di disposizione delle botti. Chiediamo ad Adolfo di rivelarci quali sono le botti migliori ma non riusciamo a strappargli nessuna informazione. Infatti, l’assegnazione delle botti sarebbe avvenuta dopo cena per estrazione. Oltre a noi 4, presenti per quella tirata ci sono 2 ragazzi genovesi (anch’essi per la prima volta a che fare con una botte), una coppia di veneti molto esperti (uno giovane ed uno anziano), un toscano che si spaccia per grande esperto ma che alla prova dei fatti si dimostrerà solo fumo ed un poliziotto piemontese arrivato con tanto di cane su di una Panda 750 (oltre 1500 km percorsi). Il solo che era già stato in quella valle è il toscano. All’imbrunire siamo tutti di fuori a vedere il passaggio delle anatre. Non ne vediamo molte ma quelle poche sono sufficienti per creare l’atmosfera ideale.

Dopo cena viene eseguito il sorteggio: Io e Marco alla 6, Roberto e Fabrizio alla 4, i due liguri alla 1B, il toscano ed il piemontese alla 1A e i 2 veneti alla 3. Non conoscendo il posto nessuno sa se è stato fortunato o meno. La notte non dormo e per le 4:30, ora della sveglia, mi alzo per cominciare i preparativi. Uno dei due ragazzi liguri è già vestito con tanto di cartucciera e stivaloni a tutta coscia. Alle 5:00 partiamo per l’imbarcadero. Io e Marco siamo i primi a partire con il barchino spinto a pertica in quanto dobbiamo attraversare tutto il lago. Mi sembra di rivivere il sogno che per anni mi ha accompagnato la notte. Al lago entriamo dopo aver percorso un canale contornato di alte canne sotto un magnifico cielo stellato. Al nostro ingresso qualche frullo ci segnala la presenza delle anatre. Non sto nella pelle. Arrivati alle botti io e Marco entriamo e cominciamo a sistemare i fucili, le cartucce, i richiami e quant’altro. Il barcaiolo dispone gli stampi e i 3 vivi in un gioco che soltanto le esperienze successive mi insegneranno essere decisamente improvvisato. Tutto tace in un silenzio ricco di magia. Prima che la luce cominci a farsi largo nelle tenebre iniziamo a sentire i primi voli di anatre dall’inconfondibile fischio delle ali. Improvvisamente il padule si anima di vita; il pollo sultano è quello che si fa sentire maggiormente e più distintamente e mi è facile riconoscerlo anche se non lo avevo mai sentito prima. Tutto è pronto. L’inizio delle ostilità era stato fissato da Adolfo alle 6:45. Assolutamente vietato sparare prima per non disturbare troppo gli animali che stanno rientrando in valle dopo aver trascorso la notte a mangiare nelle risaie. Verso le 6:30 sentiamo, senza vedere, qualche anatra posarsi intorno alla botte. Con Marco ci scambiamo uno sguardo ricco di emozioni. Alle 6:45 in punto, una fucilata rompe la magia dell’attesa. Ci alziamo per cercare di sparare alle anatre posate ma queste si involano senza che si riesca a vederle. Effettivamente è possibile sparare solo se qualche animale passa tra di noi e la striscia rossa all’orizzonte che precede l’alba. Passano ancora quindici interminabili minuti prima che un germano maschio ci appaia, deciso a giocare sugli stampi. Ci alziamo insieme al momento giusto e insieme lo fulminiamo. Non potrò mai dimenticare il primo germano della mia vita che ammazzo sul gioco di stampi da una botte. Non so per quale motivo, ma gli animali che catturo sul gioco, qualunque esso sia, hanno per me sempre costituito una soddisfazione decisamente superiore agli stessi animali catturati all’aspetto o al salto o con altre tecniche. Le prime ore del giorno passano molto più tranquille di quanto avessimo sperato ed alle 10 sono solo 5 gli animali che contiamo essere stati abbattuti. Dentro la bellissima botte, alla luce del sole, leggiamo le scritte fatte col coltello sulla vernice del cemento e c’è veramente da ridere: “Inculati anche voi?” seguita dalla data, oppure “E questo è il paradiso delle anatre? Se becco il proprietario gli faccio passare la voglia di fregare la gente” e via discorrendo. Non mi sento sinceramente di condividere queste affermazioni. Anche se il carniere sino a quel momento è stato scarno, il posto è assolutamente meraviglioso e le sensazioni che ho vissuto indimenticabili. Verso le 10, dopo diverso tempo che non si tirava una fucilata, vedo in lontananza sulle risaie un volo di pavoncelle. Allerto Marco e con la mia trombetta a bocca provo a chiamarle. Evidentemente poco sospettose, il volo cambia direzione e si dirige verso di noi. Una volta sopra le botti una pavoncella si stacca dal gruppo ed in picchiata si getta proprio sulle nostre teste. Marco non riesce a trattenersi ed anziché aspettare che tutto il gruppo si porti a tiro, si alza e ammazza la malcapitata. Inutile per me cercare di sparare sul gruppo spaventato che si da alla fuga. Ma un’altra sorpresa ci attendeva. Sempre sopra le risaie vedo dei beccaccini girare bassi e buttarsi in pastura. Provo a chiamarli e quasi subito un beccaccino si getta a capofitto, basso sull’acqua, verso di noi.

Lascio a Marco il piacere di sparare al primo beccaccino della sua vita. Sono due favolose padelle (il terzo colpo non riesce nemmeno a spararlo) contro una saetta che ci passa a pochissimi metri di distanza. Subito Marco si gira verso di me con una faccia sbigottita. Nessuna parola gli esce dalla bocca. Io sorrido e gli dico: ”Benvenuto nel mondo dei becchi lunghi”. A dire il vero sono contento che il beccaccino se la sia cavata così da lasciare un ricordo indelebile nella mente del mio amico. Sono certo che nessuno, in quella occasione, avrebbe potuto fare di meglio. Alla fine della mattina, quando verso mezzogiorno il barcaiolo viene a prenderci, contiamo 4 germani, 2 alzavole, 1 pavoncella e 8 beccaccini. Il risultato migliore viene conseguito dal toscano e dal piemontese che raccolgono 15 anatre seguiti dai due liguri che, nonostante una media di tiro vergognosa, raccolgono 12 anatre. Le altre due botti raccattano più o meno come noi.

Usciamo quindi dal lago ed andiamo a pranzare, raccontandoci le esperienze della mattina. Il cibo è fantastico anche se sono convinto che lo stesso, mangiato in un altro contesto, non sarebbe stato così buono. Non facciamo in tempo a finire che ci rinfiliamo gli stivali per andare a battere i beccaccini nelle ex risaie allagate e preparate ad oc per questo scopo. Ce ne sono veramente tanti e per la prima volta vedo i beccaccini formare una palla che vola rasente il terreno. Quando sono così uniti non curano né il richiamo né nient’altro ma il solo piacere di vedere 50 beccaccini tutti insieme è molto appagante. Il modo per cacciarli con maggior successo consiste nel nascondersi dietro dei piccoli ripari preparati con le canne e sparare a quelli che passano a tiro oppure andando a ribattere quelli che si posano sul terreno. La fatica è veramente tanta in quanto il terreno, semi allagato, è molto morbido e ad ogni passo si sprofonda. Avere degli stivaloni di qualità è indispensabile per non correre il rischio di lasciare lo stivale nel terreno ad ogni passo. Alla sera conto al mio strozzino 12 beccaccini + un paio persi nei canneti. Al calar del sole ancora non mi arrendo. Mi sembra di essere in paradiso e quindi la stanchezza e la ragione non hanno presa su di me. Stravolto ma non domo, mi apposto in un angolo lontano dalla valle per non disturbare troppo, in attesa del rientro di qualche anatra. Le poche che intravedo riescono ad evitare le fucilate finché un’ombra passa tra me e l’orizzonte dove è calato il sole. Esplodo 2 colpi ad occhi aperti e sento il tonfo dell’anatra nell’acqua. Ho passato quasi un’ora a cercarla anche perché non avevo con me una fonte di luce. Ma alla fine la mia perseveranza viene premiata. Una bella femmina di germano si unisce al carniere di beccaccini. Rientro a piedi alla casa di caccia distrutto ma felice quando gli altri sono già lavati e cambiati e con le gambe sotto il tavolo. Adolfo cominciava a preoccuparsi ma per fortuna gli amici mi conoscevano abbastanza bene per tranquillizzare tutti. “Il Borri è capace di dormire nei canneti se solo pensa di poter sparare ad un anatra”. La soddisfazione fu comunque tanta verificando che il mio carniere del pomeriggio era stato il migliore. La doccia che feci fu con acqua gelata e salmastra, visto che lo scaldabagno elettrico bastava si e no per 3 persone. La cena fu come al solito eccezionale e quella notte riuscii addirittura a dormire nonostante il russare elefantiaco di qualche compagno di camerata.

Per il secondo giorno venne deciso di invertire le botti per compensare le differenze del giorno prima. Io e Marco andiamo alla 1B mentre alla 6, la botte più povera del lago vanno i due ragazzi liguri. Stessi orari del giorno prima con un paio d’ore di attesa in botte prima dell’orario di apertura delle ostilità. Sono abbastanza convinto che per la caccia non sia necessario andare così presto in botte, ma che questa usanza venga praticata dai gestori della valle per far vivere le emozioni che solo il risveglio della natura vissuto dalla botte può dare. In questo secondo giorno i carnieri di anatre saranno decisamente inferiori del giorno prima ed io e Marco, che totalizzeremo ancora 5 anatre e qualche beccaccino saremo quelli con il carniere migliore. Ma un episodio contraddistinse la giornata. Nel mezzo della mattina, quando ormai le uniche fucilate erano quelle fatte ai beccaccini, 2 grandi oche si stagliano all’orizzonte. I 2 veneti, sistemati nella botte di fronte a noi a solo un centinaio di metri. Incredibilmente le 2 oche curano il gioco e cominciano a girare sul lago passando proprio sopra la mia botte e quella occupata dai veneti. Faccio giusto in tempo a caricare nella doppietta due cartucce dello 0 prima di rendermi perfettamente immobile. Le oche ad ogni giro che compiono si abbassano di qualche metro. L’eccitazione sale. Non ho mai sparato prima ad un oca e comincio a sperare seriamente che quella potrebbe essere l’occasione giusta. Immagino già la mia bella foto ingrandita con l’oca in una mano e la doppietta nell’altra. Tutti i cacciatori della valle sono immobili ad assistere allo spettacolo un po’ gelosi del fatto che le oche volteggiano sopra di noi ma ancora speranzosi che nel tuffarsi possano dare l’occasione anche a loro di una fucilata. Le oche compiono ancora un giro, sono ormai ad una cinquantina di metri d’altezza quando improvvisamente sento una fucilata. Avrei voluto ammazzare qualcuno al posto delle oche! Il più anziano dei due veneti, preso dall’eccitazione, si è alzato dalla botte ed ha scaricato l’automatico sui due animali ancora alti in cielo. A quel punto, anche il compagno più giovane fa lo stesso e addirittura io e Marco scarichiamo sui due animali che ci passano sopra, spaventati ad oltre 70 metri di altezza, il piombo che avevamo in canna.
Non riusciamo nemmeno a scalfirgli le penne. Sto per urlare i peggiori improperi agli occupanti della botte di fronte ma mi fermo. Il giovane sta facendo il lavoro anche per me. Non posso riportare quello che è stato urlato da due metri di distanza a questo signore per motivi di decenza. La cosa più incredibile è che questo signore quasi settantenne era sicuramente il migliore dei cacciatori presenti in valle quel giorno, con una esperienza favolosa di caccia ai palmipedi. Al nostro rientro si è scusato come se fosse stato un bambino spiegando che l’eccitazione del momento e le dimensioni delle oche lo avevano ingannato facendogli credere che i due animali fossero perfettamente a tiro. La mia rabbia svanì ben presto e mi trovai a cercare di calmare il veneto più giovane che non riusciva a perdonare al compagno di tante cacciate l’errore di qualche ora prima. Continuava a ripetere: “Non ho mai avuto in vita mia l’occasione di ammazzare un’oca, e quando questa si presenta questo str…. me la fa sfumare”.

Al mattino seguente, i due veneti sono partiti in macchina per rientrare alla loro casa, a quasi 2.000 km di distanza che non si rivolgevano più la parola. Non ho mai saputo se quell’amicizia si fosse rotta per sempre o se le 20 ore di viaggio insieme avessero alla fine ricomposto il tutto come è giusto che sia. La sera prima della partenza organizzammo uno scherzo al giovane ligure, il più assatanato del gruppo. Dopo aver coinvolto Adolfo, fingiamo di convincere il titolare del posto a concederci una terza giornata di caccia in valle per una modica cifra. Il ligure non sta nella pelle e si attacca al telefonino per avvisare moglie e ufficio che ritarderà di un giorno il rientro. Arriva addirittura a discutere fortemente con la moglie che si arrabbia non poco. Dopo avergli fatto tirare fuori le cartucce e tutto il resto che aveva già riposto per il viaggio di ritorno, dopo cena procediamo al sorteggio delle botti. Per tutta la sera aizziamo lo sventurato in tutti modi portandolo al massimo dell’eccitazione. Premetto che nei due giorni precedenti la botte 6 era stata decisamente la peggiore del lago. Adolfo viene istruito al fine di realizzare i bigliettini per l’estrazione tutti uguali con solo il numero 6.
Visto che il nostro amico è il più eccitato gli diamo l’onore di estrarre per primo il biglietto relativo alla sua botte per l’indomani. Continua a ripetere che data la sua sfortuna è certo di estrarre la n° 6. E guarda caso, estrae proprio il n° 6. Ci ammazziamo dalle risate. Lui invece ci resta veramente malissimo. Vista la sua reazione, decidiamo di ripetere l’estrazione ma questa volta sarà il suo compagno ad estrarre. Lo sfortunato non sa come ringraziarci per questa nuova possibilità che gli viene concessa. Noi invece non stiamo più nella pelle dal ridere. L’amico estrae ed ancora una volta trova il n° 6. Il poveretto arriva addirittura a piangere. A quel punto sveliamo lo scherzo anche perché la cosa si sta facendo pesante. Per la mezzora successiva la rabbia e la delusione avranno il sopravvento sulla nostra vittima ma dopo ammetterà di essere stato vittima dello scherzo meglio congegnato e riuscito della sua vita. Naturalmente chiamerà moglie e colleghi dicendo che sarebbe tornato come da programma iniziale.

Ma il sogno ricorrente della mia fanciullezza doveva ancora avverarsi.

Tutti entusiasti della prima spedizione all’estero e della prima cacciata dalle botti, decidiamo di prenotare per l’apertura della stagione successiva che cadeva all’inizio di ottobre. Adolfo ci dice infatti che l’apertura della stagione è sempre coincisa con la miglior tirata della stagione e che fare 40 o 50 anatre a botte era tutt’altro che improbabile. Il problema era costituito dal fatto che da diversi anni l’apertura e la chiusura erano ad appannaggio esclusivo di un gruppo di milanesi grandi appassionati di caccia in valle e che difficilmente ci sarebbe stato posto per noi altri. Iniziamo quindi a fare pressioni sul titolare della valle, un italiano che vive in Spagna da circa 20 anni, per vederci assegnate le botti all’apertura. E qui interviene la fortuna. Il gruppo dei milanesi non conferma per la stagione successiva in quanto hanno affittato una riserva in Ungheria per tutta la stagione. Fantastico! Il nostro gruppo aumenta di numero. Oltre ai 4 del primo viaggio si aggiunge Claudio, il terzo fratello di Marco e Roberto, e il suocero di Marco che da allora diventerà per tutti il “Suegro” (ndr suocero in spagnolo). Già diversi mesi prima della partenza tra di noi cominciano le sfide a parole sotto forma di messaggi e-mail. Roberto rispolvera i mitici Cosmi a 7 colpi del padre ed io e Marco acquistiamo per l’occasione due automatici nuovi (tradire la mia doppietta è stato uno degli atti più difficili della mia vita, quasi come se avessi tradito il mio migliore amico). Vengo nominato responsabile dell’approvvigionamento cartucce e naturalmente Roberto pretende che gli procuri un richiamo come il mio per i beccaccini. La data dell’apertura sembra non arrivare mai. Arriviamo addirittura a concepire un regolamento per aggiudicare la botte vincitrice con tanto di punteggio per capo abbattuto che dipende dalla specie dell’animale. Il germano vale 1 punto, l’alzavola 2, l’oca 10 (ma si gode per 100), la folaga ½ punto etc. Naturalmente le prese in giro sono innumerevoli e lo scambio di messaggi è serrato, chiaro segno dell’impazienza di tutti.

Finalmente arriva la data della partenza. La mia macchina, un’ampia station wagon, è carica all’inverosimile di fucili, cartucce, attrezzature varie e soprattutto contenitori per la selvaggina. In macchina con me ci sono Fabrizio ed il “Suegro”. Dopo la lunga attesa non ci sembra vero che stia arrivando il momento tanto agognato anche se la paura di un “fiasco” aleggia tra di noi. Il discorso più ricorrente nell’automobile riguarda il numero di anatre che dobbiamo abbattere per essere soddisfatti. Io sono molto ottimista: dico che 30 capi mi faranno contento ma che in cuor mio spero di arrivare a 50.

Quando arriviamo a 200 km dalla meta spingo la macchina alla massima velocità sfidando gli autovelox e la polizia spagnola. Non sto più nella pelle e ho voglia di arrivare. L’ultimo quarto d’ora di viaggio è meraviglioso. Prima di arrivare alla casa di caccia si costeggia infatti il fiume e si attraversa una immensa distesa di risaie inserite in un reticolo di fossi e canali. Finalmente arriviamo. Il grande Adolfo è li che ci aspetta e subito lo tempestiamo di domande sulla presenza degli amati palmipedi. Ci tranquillizza dicendoci che le anatre ci sono e che le covate della primavera sono state feconde. Comunque non si sbilancia più di tanto sulle previsioni per il giorno seguente. La cosa che ci spaventa è il numero dei cacciatori presenti. Per l’occasione sono state infatti predisposte anche le botti di seconda fila, vale a dire le botti che sono presenti fuori dal lago nelle ex risaie ora adibite alla caccia ai beccaccini. Come se ciò non bastasse, è stata anche ripristinata la botte 1C che era rimasta inutilizzata per diversi anni. In totale siamo 14 cacciatori destinati alle 7 botti del lago più altri 10 cacciatori per quelle di seconda fila. Il proprietario con un suo caro amico parteciperanno alla tirata stando in una botte di seconda fila, spiegandoci che le botti del lago sono state a noi riservate per gentilezza e, aggiungo io, per senso del business e perché conscio che anche fuori dal lago ha altissime probabilità di fare molto bene. Gli spagnoli sono 4, due dei quali destinati al lago. Arriva l’imbrunire e durante l’aperitivo a base di birra spagnola alla spina e mandorle fritte cominciamo a vedere un movimento di beccaccini ma soprattutto di anatre assolutamente eccezionale. Voli di decine e decine di acquatici cominciano a stagliarsi all’orizzonte, sempre più numerosi e sarà così sino a quando l’oscurità totale ci impedirà di apprezzare ancora lo spettacolo. Quella sera penso di aver visto qualche migliaio di anatre più uccelli di ogni specie, dai mignattai ai fenicotteri rosa e via discorrendo.

Dopo la cena arriva il fatidico momento dell’estrazione delle botti. Questa volta farò coppia col grande amico Fabrizio e spero di capitare alla 1B o alla 1A, le due botti che nella precedente esperienza si erano rivelate le migliori. Invece veniamo sorteggiati alla 1C, la botte inutilizzata da anni. Sono sull’orlo della disperazione. Adolfo stesso mi fa capire che ha molti dubbi sull’efficacia di questa botte che è andata in disuso a causa degli scarsi carnieri che lì si facevano. Invidiavo terribilmente Marco ed il “Suegro” che erano stati sorteggiati alla 1B. La notte la passo naturalmente insonne e verso le due del mattino sento distintamente il verso delle oche che passavano sopra la casa. Claudio, che aveva evidentemente capito dai miei movimenti che ero sveglio, mi sussurra: ”Le senti?”. Gli rispondo che le sento, eccome se le sento. Dovevano essere centinaia visto che le abbiamo sentite cantare per lunghissimi minuti. All’ora della sveglia sono già vestito e pronto per partire. L’agitazione di tutti è palpabile. Alle 4:30 saliamo sul vecchio furgone tutto scassato che, a fari spenti, ci deve portare all’imbarcadero situato ad un paio di chilometri dalla casa. Noto lo spagnolo destinato alla botte 3 che anziché avere cartucciere e borse varie, si porta soltanto un piccolo sacchetto di plastica con qualche cibaria ed un cartone ancora sigillato da 250 cartucce di una nota azienda italiana piombo 6 caricamento originale. Io, come la maggior parte degli italiani, sono munito di almeno 5 tipi di cartucce diverse, la più piccola delle quali del piombo 5 da 36 gr ma in totale non arrivo a 150 munizioni. Magari spararle tutte! All’imbarcadero questa volta sono tra gli ultimi a partire.

Arriviamo al lago e come sempre sembra di essere in un posto magico lontano anni luce dal mondo reale. E’ prestissimo e dopo aver disposto tutto il necessario per la caccia, mancano ancora almeno 1 ora e mezzo alla prima luce del sole. Incredibilmente tutta la tensione accumulata sino a quel momento svanisce improvvisamente e mi siedo sul fondo della botte dove mi addormento. Sono rimasto semi addormentato circa un’ora sino a quando il sibilo delle ali di un bel volo di anatre mi ha svegliato di soprassalto. Era ancora buio pesto ma quell’amato suono mi fece risvegliare perfettamente e l’adrenalina mi tornò in circolo immediatamente. Mi guardo con Fabrizio, che a sua volta si era appisolato e che, come me, si era svegliato di soprassalto per le anatre passateci a pochi metri sopra la testa.

Da quel momento il “traffico aereo” sopra il lago aumenta di continuo. Nei 20 minuti che precedono l’alba sentiamo le anatre arrivare da tutte le direzioni e molte si tuffano intorno alle botti. La botte 1C è posta nel mezzo di un laghetto collegato al lago maggiore e di conseguenza l’acqua ti attornia completamente. Non riusciamo a vedere ancora le anatre ma le ombre dei 20 stampi che costituiscono il nostro gioco sembrano essere molto aumentate. Arriva l’ora in cui si può sparare. E’ ancora praticamente buio e le anatre che ci sorvolano non sono che flebili ombre nella notte. Solo all’orizzonte una striscia bassa e sottile è arancione per il sole nascente. Naturalmente un secondo dopo l’ora convenuta qualcuno spara. In quell’istante il fracasso delle anatre che s’involano intorno alla nostra botte ci lascia sbigottiti. Non ci eravamo resi conto che le anatre intorno a noi fossero almeno 200 !!! Un ombra nera mi passa sulla testa; sparo e fulmino il germano che mi cade a 3 metri dalla botte facendomi giungere qualche gelido schizzo d’acqua. Dietro quel germano c’è un muro di anatre che, incurante della mia fucilata, mi passa sopra la testa. Scarico le 2 cartucce rimanenti nel mucchio e, naturalmente, non ne abbatto neanche una.

La stessa cosa capita a Fabrizio; la prima fucilata va a segno su un’alzavola solitaria mentre la seconda va a vuoto nel mucchio (Fabrizio, ancor oggi, utilizza anche in botte il suo inseparabile sovrapposto). Come spesso accade, quando gli animali a tiro sono troppo numerosi, complice anche l’eccitazione del momento, si fanno delle memorabili padelle. Tutte le botti del lago scaricano completamente i fucili. E’ l’inizio della guerra! Le anatre, molte delle quali nate quell’anno nel delta del fiume e ancora ignare del significato delle fucilate e credulone sia verso il gioco di stampi che verso i richiami, si muovono moltissimo dando continuamente la possibilità del tiro ai cacciatori. Con Fabrizio, causa anche l’inesperienza, cacciamo come abbiamo sempre cacciato le allodole dal capanno. Quando arrivava una sola anatra ci si alza a turno in modo da non disturbarsi e solo uno spara. Questa cosa è assolutamente sbagliata quando si caccia da botti gemellari. Quando infatti arriva un’anatra ci si deve alzare entrambi ed entrambi sparare così da lasciare meno possibilità di fuga alla preda. Altra cosa fondamentale riguarda la suddivisione delle prede quando queste si presentano almeno in 2. Bisogna infatti decidere prima chi darà il tempo, vale a dire il comando di alzarsi per sparare. Questo è un compito importantissimo che determinerà molto l’entità del carniere di fine giornata. Invece solo l’esperienza e l’affiatamento tra i due cacciatori farà sì che sia raro che entrambi si spari sullo stesso animale quando ce ne sono almeno due a tiro. Bisogna inoltre convincersi che il carniere non va considerato diviso per cacciatore ma sempre unico per la botte gemellare. Infine è sempre buona norma contare ad alta voce il numero dei capi abbattuti anche per consentire a chi provvederà al recupero a fine battuta di regolarsi durante la raccolta. Quel giorno io e Fabrizio non facemmo quasi nulla di tutto questo.

Comunque, dalle 7 alle 9 del mattino fu meglio che nel mio sogno infantile ambientato a Cuba. Spessissimo non si aveva il tempo neppure di ricaricare tante erano le anatre. In questa grande abbondanza la media di tiro non fu delle migliori anche se quel giorno entrambi sparammo decisamente bene. Le anatre erano soprattutto alzavole che giocavano sugli stampi per poi fare delle impennate repentine e velocissime verso l’alto alla vista dei cacciatori, nel tentativo di portarsi fuori tiro. Per me memorabile fu la tripletta su alzavole effettuata con i 3 colpi a disposizione. Ero girato dall’altra parte e stavo guardando con Fabrizio una coppia di fischioni lontani quando qualcosa (forse l’istinto) mi portò a guardarmi alle spalle. Tre alzavole erano proprio sugli stampi in procinto di buttarsi in acqua. Mi alzai e feci fuoco. Il primo colpo fu facile in quanto l’alzavola non aveva ancora avuto il tempo di riprendere velocità. Il secondo più difficile ma comunque effettuato su una preda ancora perfettamente a tiro. Il terzo fu invece un tiro bellissimo, fatto ad un animale spaventato in piena fuga al limite della distanza. Tripletta di alzavole, che meraviglia! Fabrizio, che nel frattempo si era girato si complimenta per la bella coppiola.

Gli faccio notare il terzo ciuffetto di piume che galleggia spiegandogli che anche il primo colpo era andato a buon fine e che lui non aveva fatto in tempo a vederlo. La sua invidia è stata tanta. Andiamo avanti così sino alle 9:30 quando iniziamo a renderci conto che le circa 250 cartucce che complessivamente ci eravamo portati in botte iniziano a scarseggiare. Da tenere anche in conto che diversi animali cadevano feriti e che se non venivano ribattuti prontamente in acqua con altre numerose fucilate, avrebbero nuotato lentamente sino alle canne che attorniavano il lago impedendone poi il recupero nel 90% dei casi. In questi casi il problema è che le ali chiuse intorno al corpo vanno a costituire una barriera impenetrabile per il piombo e che la superficie dell’animale che rimane fuori dall’acqua diminuisce drasticamente, lasciando come unica parte vulnerabile la testa. Cerchiamo quindi di selezionare maggiormente le prede, sparando solo agli animali perfettamente a tiro. Nonostante questo alle 10:30 restiamo completamente senza cartucce. Diverse botti sono nella nostra situazione. Roberto e Marco, da due botti diverse urlano come pazzi per attirare la mia attenzione. Fortunatamente ho con me il telefono cellulare ed il numero di Adolfo. Lo chiamo e chiedo di portarci cartucce con il barchino. Dopo 15 minuti di sofferenza arriva Adolfo e porta un centinaio di cartucce per botte. Solo lo spagnolo che avevo notato con il cartone di 250 pezzi di cartucce del 6 continua imperterrito a sparare. Inoltre riesco a verificare che spara molto bene anche se con il difetto di tirare anche ad animali da me considerati fuori tiro con una percentuale di successo comunque più alta di quanto ritenessi possibile.

Da quando riceviamo il rifornimento di munizioni, le anatre cominciano a non muoversi più. In due spareremo ancora una ventina di colpi. Io e Fabrizio continuiamo a farci i complimenti e cerchiamo di renderci conto di quanti capi abbiamo abbattuto. Arriviamo a contare una sessantina di anatre in acqua ma molte sono state spinte dalla leggera brezza verso il canneto e quindi non riusciamo a vederle. Numerose altre sono cadute direttamente nelle canne ed altre ancora erano ferite e chissà dove sono. Arriva il barcaiolo verso le 12:30 quando ormai le fucilate nella valle sono completamente esaurite. Inizia a raccogliere le anatre ed alla fine ha difficoltà ha trovare sul barchino lo spazio per me e Fabrizio. Gli stampi e i richiami vivi verranno raccolti in un viaggio successivo. Salire su quel barchino colmo di animali è stata una soddisfazione grandissima. Andiamo dunque verso l’imbarcadero dove i nostri compagni di caccia sono già tutti arrivati. C’è Claudio che sta filmando tutto con la sua bellissima telecamera digitale. Tutti sanno già che ci siamo contraddistinti e a gran voce ci chiedono il numero dei capi abbattuti. Io ho un sorriso che va da un orecchio all’altro e che non riesco a trattenere. Azzardo una settantina di pezzi raccolti, ma ancora non ne sono certo. Scendo dal barchino ed il mucchio delle anatre raccolte nelle altre botti è impressionante. Inizia la conta dei nostri capi. Arriveremo ad un totale di 77 capi di cui 57 alzavole, 17 germani e 3 fischioni. Almeno 15 i persi. Per fortuna la 1C doveva essere la botte peggiore! Si rivelerà invece la botte con il totale di capi abbattuti maggiore e dal quel giorno sarà la botte più desiderata da tutti.

Nel pomeriggio alcuni di noi, compreso naturalmente il sottoscritto, vorrebbero andare a sparare ai beccaccini. Ci viene categoricamente vietato dicendo che avremmo rischiato di compromettere la tirata in valle del giorno successivo. Così passiamo il pomeriggio dormendo, chiacchierando di cose di caccia, e rimirando lo stuolo di anatre sul prato.
Per il giorno seguente è previsto come sempre lo scambio delle botti. Io e Fabrizio veniamo destinati alla botte 1A che il giorno precedente era stata la botte con meno capi raccolti. Siamo tutti consci che la giornata non sarà nemmeno lontanamente paragonabile a quella precedente anche perché veniamo a sapere che nella valle destinata ai cacciatori locali, molto più grande della nostra e situata a circa 2 chilometri di distanza, quel giorno non si sarebbe sparato, così da rendere quel lago un rifugio tranquillo e sicuro per le anatre di tutto il delta. Un altro segno negativo è che i 4 spagnoli presenti il giorno prima sono già partiti e non parteciperanno alla caccia del secondo giorno.

Comunque tutti entreremo in botte con almeno 200 cartucce per fucile (non si sa mai).
Entriamo in botte sempre con il cuore colmo di gioia se non altro per il fatto di essere in quel paradiso. Prima che arrivi la luce dell’alba iniziamo a sentire le anatre. E anche questa volta sono tante. Come il giorno precedente molte anatre si buttano in mezzo agli stampi e comunque intorno alla botte. Con Fabrizio ci scambiamo sguardi estatici. L’atmosfera è resa ancora più particolare da un leggero cuscino di nebbia appoggiato sull’acqua del lago. Ancora a buio fitto, mi capita l’episodio più bello della giornata. Improvvisamente, davanti alla botte spunta dalla nebbia un volo di oche. Passano proprio davanti alla botte, da sinistra a destra volando imperiose a filo d’acqua. Nonostante abbia il fucile carico non provo nemmeno ad imbracciarlo. La sorpresa è tale che non reagisco ed inoltre il tempo in cui le 5 oche sono state visibili, nonostante la loro vicinanza, è stato brevissimo a causa del buio e della nebbia.
Infine mi sarei attirato l’odio di tutti gli altri cacciatori per le fucilate prima dell’orario fissato (anche se per la prima oca della mia vita sarei forse stato disposto a subirlo). Come sempre, un secondo dopo l’orario fissato qualcuno spara. Questa volta le anatre posate intorno alla botte scappano dalla parte per noi sbagliata e non ci è possibile effettuare neanche una fucilata. A quel punto succede l’imprevedibile. Le tantissime anatre che erano nel lago scappano al rumore delle primissime fucilate e non si rifaranno vedere per tutta la giornata. Alla fine della mattina io e Fabrizio avremo al nostro attivo soltanto 1 alzavola ed una marzaiola, con una media di tiro del 100%. Due sole fucilate rispetto alle circa 300 del giorno prima. Per tutto il lago sarà più o meno la stessa cosa. La botte con il carniere migliore totalizzerà 8 anatre, e qualcuno addirittura un solo capo.

Come gli spagnoli avevano previsto, le anatre del Delta si sono rifugiate nella valle grande, dove nessuno sparava, smettendo quasi del tutto di muoversi per il delta una volta fatto giorno.
Ebbene, dopo quella fantastica esperienza furono ancora molte le volte che, sempre con lo stesso entusiasmo e sempre provando lo stesso piacere, tornammo in quel paradiso.

La passione per la caccia mi ha dato tantissimo e questi ricordi fanno parte delle cose belle della mia vita. Mi reputo molto fortunato per aver vissuto certe emozioni a contatto con la natura e per questo mi auguro di riuscire a trasmettere ai miei due figli la stessa passione. Un cacciatore vero è una persona fortunata, più ricca delle persone che questa passione non hanno avuto la fortuna di viverla.


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